Hikikomori. Così è chiamata una delle tante dipendenze frutto della società contemporanea. Non si tratta di dipendenza da sostanze, ma da troppe informazioni, le quali vengono elaborate in modo patologico portando l'individuo all' esclusione e alla perdita di contatto con la realtà.
Quale Realtà? Quella che viviamo? Quella che ci viene riflessa dai media? Quella che scegliamo di cliccare? Quella che proiettiamo fuori da noi? E' banale interrogarsi sul ruolo delle informazioni, qualità e quantità, in un contesto in cui spesso potere e gestione dell' informazione sono complementari ?
La ricerca ha origine da due riflessioni:
1) Che cos'è la dipendenza e da cosa origina
2) Come si relaziona il corpo con il sovraccarico di informazioni che caratterizza la nostra società.
Queste inquietudini spingono le autrici ad indagare e infine, a prendere spunto da un esperimento degli anni '70 condotto da Bruce Alexander, docente di psicologia a Vancouver. Bruce per eseguire esperimenti sulla dipendenza da droghe con i ratti decise di ricreare una gabbia ricca di informazioni, RAT PARK, così da contestualizzare il soggetto cavia in una realtà paragonabile alla condizione dell' essere umano nell' era dell' informazione. Sara Parisi e Nuvola Vandini estrapolano da qui alcuni elementi e concepiscono un proprio esperimento HUMAN PARK. In scena due corpi all' interno di due spazi circoscritti, due gabbie simboliche. Fuori dalle gabbie, osservano e dettano le regole del gioco due presenze al limite tra scienziate e showgirl. Figure estremamente formali, ma interiormente volgari e alienate, dal commento compulsivo, tipico della nevrosi da " Share " " Like" "Twitt". In questo crinale avviene l' esperimento, in un battibecco tra ciò che appare e ciò che è realtà, dove anche l' occhio della scienza viene messo in discussione. Una dopo l'altra, diverse informazioni vengono somministrate ai tester accumulandosi in uno spazio limitato che diventa sempre più stretto. Le due scienziate, apparentemente distanziate, appuntano rapide osservazioni sui taccuini al fine di rilevare anomalie, dipendenze, nevrosi, nella relazione delle cavie con l' informazione. Il lavoro si tesse sulle tensioni tra due piani opposti: quello improvvisato e imprevedibile, dei tester, che dipinge un susseguirsi di azioni- reazioni senza filtri; e quella truccata, spettacolare, di chi conduce, delineando paesaggi esageratamente cromati e filtrati da stereotipi sociali. Il progetto ha avuto una fase di incubazione, che ha gettato le basi per un impianto che sembra funzionale, poiché chiuso ma al contempo aperto. La comunicazione è chiara e diretta, il pubblico risulta coinvolto, divertito e allo stesso tempo interrogato. Vi sono azioni di coinvolgimento diretto, due persone del pubblico diventano informazioni all' interno delle gabbie, e infine,con un gioco di luci e parole, l' intero audience si troverà chiuso in una gabbia. Durante il processo creativo è emersa la possibilità di un secondo quadro: una video installazione sul tema della dipendenza da troppe informazione, o in generale sul rapporto dei corpi con le informazioni. La gabbia umana, verrà riprodotta in diversi contesti culturali. I tester saranno chiamati a sottoporsi alla somministrazione di informazioni, in un ambiente non performativo e protetto, in questo evento le scienziate agiranno in maniera neutra senza entrare nel quadro visivo della telecamera. Al raggiungimento di un certo numero di campioni, sarà editato un video che mostrerà l' esecuzione dell' esperimento in diversi contesti culturali e sociali.